Chiacchiere belliche con Riccardo Masini (parte 2)

Continua la mia intervista a Riccardo Masini, uno dei punti di riferimento nella community italiana del wargame. Se vi siete persi la prima parte potete leggerla qui.

E: Personalmente ho amato Twilight Struggle. Pensi possa essere un primo passo per “tutti”.

R: Beh, assolutamente sì, anche se in una direzione ben precisa, quella del gioco di simulazione politico-militare. Lasciando perdere quella che secondo me è la solita diatriba poco utile e anche poco interessante sulla natura di questo gioco (“Ma Twilight Struggle è o non è un wargame?” a cui io di solito rispondo con un sonoro sbadiglio di noia…), è chiaro che ci muoviamo nell’ambito della simulazione multidimensionale, non esclusivamente militare e cinetica, in cui entrano in campo altri fattori spesso immateriali… è quel mondo della “simulazione non lineare” a me molto caro che ho descritto approfonditamente nel mio ultimo libro, Il gioco di Arianna, e che sta diventando un sottogenere molto ricco nel mondo della simulazione. Di sicuro Twilight Struggle, che non è un gioco “perfetto” ma che comunque ha raggiunto un notevolissimo punto di equilibrio, ti insegna alcuni aspetti fondamentali di tutto ciò che è un wargame: l’accorto impiego delle risorse, il pensiero laterale, la focalizzazione sugli obiettivi, la ricerca di strade alternative verso la vittoria, la lucida gestione dei momenti di crisi. La sua semplicità di gioco e l’immediatezza della sua rappresentazione (una bella mappa del mondo con tanti punti influenza, unito a tre mazzi che si evolvono per simulare in maniera plausibile l’andamento delle dinamiche globali del secondo dopoguerra) ne hanno fatto un titolo di grande successo, regolarmente ristampato dalla GMT. Quindi, sì, è sicuramente un ottimo primo passo per tutti verso un concetto di simulazione più ampio ed accessibile, anche se ovviamente non ci dice molto sull’altro grande ramo del wargame che rimane e rimarrà sempre un pilastro essenziale: il gioco su mappa (esagonata o meno) che ricostruisce eventi da un punto di vista più strettamente militare come battaglie, campagne militari o interi conflitti armati diretti.
Però è un punto di accesso fenomenale verso altri titoli che ne sono dirette derivazioni come 1989 (dissoluzione della sfera d’influenza sovietica nell’Est Europa) o Europe in Turmoil (ultimi decenni prima della Grande guerra), come anche un viatico per affrontare titoli appartenenti sempre al genere politico-militare ma che usano meccaniche differenti come Europe Divided di David Thompson (lo stesso autore di Undaunted, che qui invece ci porta nell’Europa dei giorni nostri contesa tra UE e Stati Uniti dall’altro, nuovo protagonismo internazionale russo dall’altro), Victory & Glory: Napoleon (un affascinante gioco di influenze politiche ambientato in epoca napoleonica), La Belle Epoque (ultima creazione di Paolo Carraro per l’italianissima Aleph Game Studio, sempre ambientato a cavallo tra Ottocento e periodo immediatamente precedente alla Prima guerra mondiale) o comunque tutti gli altri card-driven games di vario genere (anche quelli dedicati a conflitti meno conosciuti: la splendida serie cominciata con No Peace Without Spain! sulle guerre di successione europee del Settecento o Dawn’s Early Light sulla bizzarra Guerra del 1812 tra Stati Uniti e Gran Bretagna… un conflitto che in pochi sanno perché è cominciato e su cui ancora oggi si discute riguardo a chi lo abbia vinto davvero!).
Fino ad arrivare a Labyrinth di quel gran “discolo” di Volko Ruhnke, che prende una per una tutte le convenzioni di Twilight Struggle e te le smonta di fronte agli occhi per rappresentare il caotico scenario della guerra al terrorismo su scala globale dei giorni nostri.

E: Ottimo spunto. Da qualche anno si sente parlare molto della COIN Series. Puoi spiegare in cosa consistono le principali peculiarità di questo sistema di gioco?

R: Parliamo di Volko Ruhnke e infatti ecco spuntare i COIN!
Scherzi a parte, è inevitabile citare prima o poi la serie che ha letteralmente rivoluzionato non solo il mondo dei giochi di simulazione ma anche il suo rapporto con il grande mondo del boardgame in generale… e del resto non poteva non essere così, visto che il suo autore ha più volte dichiarato egli stesso di averla creata “per superare il tribalismo imperante tra i giocatori”.
Quali sono i punti essenziali di questa serie? Rimandandovi ad un mio video nel quale ho provato ad elencarli se non uno per uno in tutte le loro variazioni da titolo a titolo almeno nelle loro dinamiche fondamentali, gli aspetti principali sono due: delinearizzazione del conflitto e gestione del ritmo delle operazioni.
I COIN sono giochi che nascono dall’esperienza diretta di Ruhnke nel suo lavoro di analista strategico della CIA relativamente ad alcuni tra i principali conflitti moderni (anche se non mancano giochi dedicati anche a guerre del passato, dalla Gallia di Giulio Cesare alla Rivoluzione americana di George Washington). Il modello ricreato si basa dunque sostanzialmente sull’irregolarità dei conflitti asimmetrici, con formazioni clandestine che tendono a destabilizzare strutture governative tramite attentati, campagne di informazione, azioni politiche, interventi di potenze esterne e molto altro. L’asimmetria qui regna sovrana, perché ogni singola fazione si muoverà sì secondo le regole comuni a tutti, ma potrà agire spesso con unità underground, del tutto irrintracciabili anche in pieno territorio nemico fino al momento dell’azione (un caso tipico: i Viet Cong di Fire in the Lake) mediante operazioni di natura propria. Le fazioni più “regolari” avranno dunque grandi risorse e una notevole potenza di fuoco “diretta”, mentre gli irregolari si muoveranno tra le ombre, raccoglieranno le loro poche risorse in preparazione di singole azioni, colpiranno in maniera inaspettata e spesso drammaticamente decisiva.
A questo si aggiunge il fatto che tali menu di azioni esclusivi di ogni singola fazione vengono utilizzati per raggiungere obiettivi intrecciati: in una configurazione classica due fazioni si trovano in buona sostanza “affiancate” tra di loro contro altre due (come succede in titoli come A Distant Plain, Fire in the Lake, Liberty or Death…), ma con obiettivi divergenti che le porteranno sì a collaborare… ma non troppo, sapendo che alla fine soltanto uno potrà vincere. Oppure, ogni fazione avrà obiettivi propri e quindi assisteremo ad un complicatissimo gioco diplomatico in cui ciascuno cerca di ottenere l’appoggio di qualcun altro, sapendo però che nessuno può favorire troppo il vicino a meno di non volergli regalare la vittoria su di un piatto d’argento.
Questo dal punto di vista strategico, mentre sul piano dell’impegno “sul terreno” anche il livello del proprio coinvolgimento andrà gestito con grande attenzione. Grazie ad un elaborato ma ben comprensibile gioco di alternanze che unisce simboli sulle carte a priorità di scelta dell’ordine di turno, i giocatori dovranno scegliere l’intensità del proprio “ritmo operativo”: attivare le azioni più potenti o perfino gli eventi speciali della carta sarà una forte tentazione, ma permetterà all’avversario di farlo a sua volta nel turno immediatamente successivo… non sarebbe forse meglio adottare una tattica più attendista o addirittura passare la mano, raccogliendo preziose risorse bonus ed evitando un’escalation che non saremmo in grado di controllare nel lungo periodo? Capire quando è il momento di attaccare e quando invece bisogna saper aspettare congiunture migliori è una delle cose più difficili (ma più stimolanti!) di questo genere di giochi.
Il tutto unito alla varietà degli argomenti trattati, dalla rivoluzione cubana alla Britannia di Re Artù o alla lotta per l’indipendenza dell’India di Gandhi, uno dei segreti del loro successo. In fondo, sono giochi che hanno saputo rendere interessante al grande pubblico un argomento da veri “malati di storia” come la guerra civile finlandese del 1917-18, magistralmente rappresentata in All Bridges Burning! E non vi ho parlato dell’attesissimo COIN sulla guerra sino-giapponese degli anni Trenta…

E: Quanto studio necessità il regolamento di un wargame? Dammi tempistiche per giochi facili (se esistono), medi e difficili.

R: Ti dirò, anche in questo caso la risposta è piuttosto “non lineare”. Perché dopo aver giocato a wargame hex and counter tradizionali per tanti anni, devo ammettere che spesso i manuali che mi richiedono più impegno… sono proprio quelli più semplici!
In effetti, le basi del wargame tradizionale richiedono sì e no venti minuti di lettura. Un foglio della Decision, un titolo semplice della serie SCS (Standard Combat Series) di MMP come l’appena uscito Rostov ’41 o l’ultimo Battle of the Bulge 1944 di Worthington con meno di 10 pagine di regole, scritte larghe e con tanto di esempi, impegna più o meno lo stesso tempo. Caratteristiche delle unità, caratteristiche del terreno, sequenza del turno, movimento, combattimento, rifornimenti, condizioni di vittoria… tutte cose semplici, intuitive, con tabelle e schemi che invece di complicarti la vita come sembrerebbe a prima vista alla fine ti facilitano il compito, evitandoti di ricordare ogni volta tante cose (è il motivo per cui il wargamer vecchia scuola preferisce la pedina alla miniatura: sulla pedina ritrova tutti quei numeri che non lo costringono a consultare il manuale o una carta apposita per capire quanto velocemente si muove un’unità o quanti dadi deve tirare e quali valori deve fare in combattimento… insomma, a noi piacciono le pedine con tanti numeretti perché in fin dei conti e contro ogni apparenza siamo dei gran pigroni!). Assimilato questo posso passare a wargame a media complessità come quelli del già citato Mark Simonitch (Normandy ’44, Stalingrad ’42, Salerno ’43…) o ad un bel Men of Iron medievale di Richard Berg, mettendoci poco tempo in più. Poi posso passare a roba più “tosta” come la serie Great Battles of History (a proposito, sapevate che c’è un ottimo regolamento alleggerito di questo sistema, una dozzina di pagine di regole e partite da 2-3 ore, con cui potete riadattare tutti gli scenari?), la serie Operational Combat Series, gli approfonditissimi scontri tra corazzati di Panzer ed MBT (anche qui, abbiamo però anche il gioco di carte Tank Duel che usa la stessa matrice statistica ma con modalità molto innovative e più semplici), i mille moduli di Advanced Squad Leader… qui l’impegno è certo maggiore, ma avrai notato che parliamo di serie, quindi di sistemi in cui una volta imparato il regolamento principale vado ad aggiungere solo quelle variazioni richieste dal singolo modulo. Insomma, ti direi che in media per un wargame tradizionale posso mettere in conto ormai mezz’ora o un’ora di studio al massimo, il tutto a patto però di cominciare per gradi in maniera incrementale senza dedicarsi da subito ai titoli più complessi. Un discorso analogo lo si può fare sui card-driven games (prima di affrontare For the People facciamoci qualche giro a Washington’s War, prima di buttarci su Paths of Glory o Empire of the Sun impratichiamoci con Ostkrieg o Pacific Tide!), come su tante altre tipologie di wargame.
Paradossalmente, ti dicevo, mi possono richiedere almeno altrettanto se non in alcuni casi un maggior impegno giochi di simulazione e wargame “alternativi”, anche se più semplici. Questo perché in quel caso devo ricominciare tutto il processo di apprendimento daccapo e quindi mi trovo nella stessa posizione del neofita assoluto, pur se aiutato dalla mia conoscenza della situazione storica. Un gioco ibrido sulla Prima guerra mondiale basato su meccaniche di piazzamento tessere e che ho amato molto, An Attrition of Souls, mi ha richiesto anch’esso una buona mezz’ora di tempo perché lo assimilassi abbastanza da poterne giocare la versione base (e solo pochi minuti in più per introdurne le varianti “avanzate”, a testimonianza della bontà del sistema), come anche un sistema semplice ma davvero originale quale è quello del magnifico gioco tattico misto tra carte e pedine Combat Commander o la sua versione sempre per il 1914-18 Great War Commander (si vede che la Prima guerra mondiale è una delle mie grandi passioni?). Ad ogni modo, rimaniamo più o meno sempre sullo stesso tempo.
Un’ultima parola, però, vorrei chiederti di spenderla sulla qualità di scrittura dei manuali. Per molti wargamer la lettura dei regolamenti e dei playbook è essa stessa parte integrante dell’esperienza di gioco, permettendoci di pregustarne le dinamiche e anche di analizzare le scelte di game design adottate dall’autore per rappresentare una determinata situazione. Dispiace davvero dunque vedere giochi in effetti semplici e molto coinvolgenti, come ad esempio Hitler’s Reich o Coalition: The Napoleonic Wars, pesantemente penalizzati da manuali scritti male, con regole in contraddizione o mal presentate, con un’esposizione confusa o che ci costringa a saltare tra pagina 5, pagina 14 e pagina 27 per capire come gestire una meccanica base del gioco. Tutto questo è un problema non indifferente e va a minare il coinvolgimento del giocatore nella partita, che è e deve rimanere l’aspetto più importante della simulazione: in questi titoli il centro di tutto non è il gioco, ma l’esperienza che il gioco fa vivere al giocatore. Talvolta questo si perde e a certi titoli viene negato il successo che sarebbe loro dovuto a causa di gravi errori nella presentazione delle rispettive regole, che magari si sarebbe potuto evitare con un po’ di attenzione in più.

E: Nei tuoi video riesci a trasmettere tutta la passione che hai per questa attività. Quanto tempo prende nella tua vita riuscire ad avere una panoramica così approfondita?

Eh… sarei tentato di dirti “troppo”… ma evito di farlo, perché in fondo per me il tempo dedicato al wargame e alla storia può essere “troppo” solo nel senso di “troppo poco”. Sicuramente è tanto. Così tanto che la mia più che paziente moglie ci ha addirittura scritto un libro, opportunamente intitolato La mia vita con un Geek, sulle disavventure sue e di tutti coloro che, a vario titolo, si ritrovano a condividere la propria esistenza con un malato perso di giochi come il sottoscritto!
Scendendo sul piano pratico, ovviamente il carico di lavoro è notevole. Studiare un gioco non solo per farlo “girare” ma anche per comprenderne la filosofia, le motivazioni dietro a determinate scelte di design, il rapporto con altri autori e altre produzioni, la visione storica che vuole proporre richiede un approccio completamente differente. È chiaro però che si tratta sempre di una passione, da conciliare con i mille prioritari doveri del lavoro, della casa, della famiglia… una passione piuttosto dominante, in effetti, in quanto a tempo e soprattutto a spazio occupato in casa! Sempre la mia più che paziente moglie di cui sopra ha dovuto accettare come clausola ovviamente non scritta del matrimonio il fatto di ritrovarsi giochi non solo in cantina o in libreria, ma negli armadi, negli scaffali, sotto il letto… salvo comunque aiutarmi con la sua esperienza di giornalista ed esperta di comunicazione nella gestione del canale e delle forme di trasmissione dei suoi contenuti (ho già detto che mia moglie è “più che paziente”?).
In più, dobbiamo anche contare da un lato il lavoro di ricerca sull’ampia saggistica cartacea e online esistente sull’argomento, come pure il seguire i canali YouTube di riferimento (se non altro per salutare gli amici spesso d’oltreoceano con cui condividi la stessa passione e che speri sempre un giorno di poter incontrare dal vivo); dall’altro il tempo necessario per il montaggio dei video e degli audio, il reperimento di fotografie d’epoca, lo scatto delle foto da utilizzare sia sul canale che nei siti e nelle riviste.
Insomma, tanta roba che sì, ogni tanto mi ha portato a chiedermi “Ma chi me lo ha fatto fare? Non potevo limitarmi a giocare questa roba e basta?”. Poi però quello è in genere il momento in cui mi arriva la notifica di un nuovo messaggio di richiesta di consigli su Facebook, un apprezzamento su YouTube, la mail di un amico autore che mi invita a provare un suo prototipo, un contatto per un nuovo progetto con amici in Italia e all’estero… senza contare il piacere di aver incontrato grazie a tutto questo lavoro tanti altri con lo stesso amore per il wargame, come la soddisfazione di aver spinto in molti a scoprire questo mondo che altrimenti non avrebbero mai sognato neanche di visitare. A quel punto, qualsiasi fatica viene più che ripagata e ti riparte la voglia di girare un altro video, registrare un altro podcast, organizzare un’altra diretta, scrivere un altro articolo o perfino un altro libro! Attualmente mi ritrovo molto impegnato su quest’ultimo fronte, con la redazione del progetto antologico “EuroWarGames”, una pubblicazione che raccoglierà contributi provenienti da autori, editori, protagonisti a vario titolo del mondo del gioco europeo e non solo sullo stato del wargame professionale e civile nel Vecchio Continente: un’occasione davvero unica che metterà in contatto molte realtà nazionali di grande rilievo, in un reciproco e proficuo confronto culturale.
Di sicuro questa impegnativa e magnifica esperienza ha cambiato il mio modo di vivere il gioco. La mia attività ludica è adesso improntata a scoprire quali altri titoli proporre al pubblico, provandoli con attenzione (cerco sempre di fare almeno un discreto numero di partite a tutti i titoli di cui parlo: per questo difficilmente troverete sul mio canale “l’ultimo splendido gioco definitivo uscito la settimana scorsa!!!”) e redigendo un vero e proprio programma mensile delle mie partite, da rispettare quanto più possibile. In effetti così facendo ho scoperto un modo per valorizzare ulteriormente la mia collezione, trovandomi “costretto” a provare titoli che invece sarebbero rimasti sugli scaffali, e questo è un altro grande regalo che mi hanno fatto WLOG e compagnia. Uno dei tanti motivi che mi spingono a consigliare di fare un tentativo in questo senso a chiunque voglia vivere in maniera ancora più completa la sua passione per il gioco storico: la comunicazione non sarà perfetta dall’inizio, si faranno tanti errori… ma investendo in quest’impresa si scopriranno ben presto nel rapporto con gli altri giocatori e gli altri creatori di contenuti lati inaspettati di questo hobby che ci prende così tanto.
Non ho ancora avuto modo di fare il “grande salto”, però, ossia cimentarmi in prima persona nella realizzazione di un gioco: ma chissà, forse un giorno non tanto lontano…

E: Ultimamente in Italia si stanno portando dei titoli importanti dal catalogo GMT. La lingua è un fattore vincolante per tantissimi di questi titoli. Credi si stiano scegliendo quelli giusti per avvicinare nuovo pubblico?

Chi come me ha vissuto i primi anni del wargame in Italia ricorderà bene che dentro la scatola di tutti i giochi Avalon Hill si trovava un fascicoletto dattiloscritto con la traduzione delle regole ad opera di Alfredo Gentili, l’importatore ufficiale della ditta nel nostro Paese. Quelle traduzioni, un po’ artigianali ma sempre ben realizzate, erano la gioia di noi giocatori e ci permettevano di apprezzare da subito il titolo che avevamo tra le mani. Anche se poi un’occhiata al regolamento in inglese finivi sempre per darla e così facendo, confrontandola con la traduzione di Gentili, ti ritrovavi dopo un po’ ad impararla quella lingua e a procedere da solo.
Oggi ovviamente non possiamo più affidarci ai fascicoletti rilegati sia perché il livello di produzione dei giochi è notevolmente cresciuto, sia perché i giochi stessi hanno spesso componenti ulteriori rispetto alle mappe, come carte, segnalini e playbook, ognuno dei quali richiede una traduzione, un’impaginazione e una fabbricazione autonoma.
In questo senso qualsiasi iniziativa tesa all’abbattimento della barriera linguistica nei wargame è più che benemerita, e dovrebbe essere sempre salutata come qualcosa di positivo per la diffusione dell’hobby. Purtroppo, va detto, non sempre tali localizzazioni hanno brillato per precisione (facendoci rimpiangere i fogli del volenteroso Gentili!) e talvolta pur se per comprensibili motivi economici la localizzazione si è fermata al gioco base senza coprire anche le espansioni o gli aggiornamenti (con casi esemplari quali Heroes of Normandie e Labyrinth).
In tale contesto a dir poco variegato si inseriscono le ultime proposte di Ergo Ludo, che ha già curato le ottime localizzazioni di Here I Stand e Time of Crisis, con molti altri titoli in arrivo. Le prime due scelte di questa ditta sono state molto chiare e, devo dire, più che giustificate: un primo titolo molto noto tra gli appassionati più esperti e un gioco “bridge” con forti elementi di ibridazione con gli Eurogames adatto a tutti. Le proposte per il futuro comprendono un lavoro quasi completato su di un titolo di punta come Imperial Struggle e grandi promesse per i prossimi anni: Falling Sky (il primo COIN tradotto in italiano), Churchill e Paths of Glory. Tutte scelte che mi sento di condividere sia per motivi di familiarità dei temi (tutti noi, non solo chi ha fatto il liceo classico, conosce almeno per sommi capi l’epopea della conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare) che per valore assoluto dei giochi. Ergo Ludo è anche stata brava a gestire alcuni inevitabili problemi di produzione come a rispondere in maniera pacata ma decisa alle polemiche di chi si lamentava della lunghezza del lavoro di localizzazione: sono in contatto periodico con gli amici di Ergo Ludo e posso testimoniare in prima persona sulla loro dedizione a tali progetti, nonché sull’approfondimento del loro lavoro che spesso include errata e addirittura espansioni successive incluse nella scatola base come è stato per Time of Crisis.
Vorrei però avanzare una breve riflessione su questa benedetta barriera linguistica, proprio partendo dalla mia esperienza personale: avvicinarsi ad un regolamento scritto in inglese, magari aiutandosi con una delle tante traduzioni “non commerciali” presenti in rete e facilmente reperibili (penso ai titoli GMT, nonché alla serie napoleonica Jours de Gloire o ai solitari DVG…), rappresenta un’opportunità più unica che rara per imparare una lingua fondamentale non solo per la propria esperienza ludica ma anche per la propria vita culturale e professionale. Certo, vi sono delle innegabili difficoltà e nessuno vuole tenere potenziali giocatori lontani dal mondo del wargame solo per motivi linguistici… ma è anche vero che una volta ottenuta con un po’ di pazienza e determinazione una minima comprensione di base dell’inglese si ha improvvisamente accesso ad una quantità sterminata di fonti, informazioni e anche giochi più specialistici fruibili in maniera libera e non mediata da terzi. Per non parlare dei contatti personali che si possono instaurare con i tanti autori, giocatori e creatori di contenuti di tutto il mondo e raggiungibili tramite i social media… tutto un altro modo di vivere il gioco, aprendo le proprie prospettive e comunque continuando ad apprezzare le tante ottime localizzazioni di grandi titoli che si stanno facendo sempre più frequenti.
Insomma, imparare divertendosi, nel vero senso del termine!

E: Wargames: perché sì e perché no.

R: Ci siamo riservati le due domande fondamentali per la fine, eh? Ottimo, andiamo a rispondere con ordine!
Perché sì. Perché dà un senso alla propria passione per la storia, certo, ma aiuta anche a coltivarla e a farla crescere, gioco dopo gioco, facendoci capire che ricordare il passato non significa semplicemente collezionare nozioni statiche, bensì mettere tutte queste informazioni in correlazione tra di loro scoprendone le dinamiche di relazione più profonde e “usandole” proprio come i protagonisti di quegli eventi hanno cercato di fare. E in questo senso, perché i wargame non solo ci mettono nei panni dei grandi personaggi storici, ma ce ne fanno comprendere i sogni e le paure più profonde, il mondo in cui si muovevano, il lato più umano ed appassionante, le sfide, le grandi qualità e anche le grandi debolezze. Perché i wargame sono davvero delle grandi “macchine del tempo di carta” come diceva Jim Dunnigan, fondatore della SPI e uno dei padri del wargame moderno, che uniscono profonde sfide intellettuali a inesauribili potenzialità narrative, facendoci passare ore in luoghi e secoli lontani per poi farci tornare nel nostro mondo arricchiti in conoscenze e consapevolezza. Perché, soprattutto, è un passatempo incredibilmente divertente e fortemente educativo anche sul piano caratteriale, che ci riserverà sempre grandi sorprese e nuove emozioni con decine di tipologie di giochi diversi, che ci farà conoscere avversari che diventeranno amici per tutta la vita, che ci aiuterà a confrontarci apertamente e lealmente in un contesto fatto di regole e rispetto reciproco, che ci farà vedere la storia anche dalla parte dei perdenti senza giustificare nulla ma cercando di comprendere sempre qualcosa di più. Perché il wargame non glorifica la guerra come ritengono alcuni, ma come ben sapeva lo scrittore H.G.Wells (pacifista convinto e autore del primo regolamento codificato di wargame con le miniature, le Piccole guerre) il wargame mette bene in mostra la stupidità e l’orrore di ogni conflitto armato, celebrando invece la bellezza di ritrovarsi a giocare con i propri amici, in pace.
Perché no. Perché se volete un gioco in cui il centro di tutto siano le semplici meccaniche aritmetico-combinatorie e non vi interessa più di tanto l’ambientazione e le situazioni rievocate dagli avvenimenti della partita, allora il wargame proprio non fa per voi. Perché se siete sempre alla ricerca dell’ultimissimo gioco definitivo della settimana e non volete riscoprire il fascino di giochi vecchi anche di decenni ma ancora capaci di coinvolgervi esattamente come la prima volta al di là della qualità di stampa delle componenti e della presenza o meno di miniature all’ultimo grido, allora il wargame purtroppo non fa per voi. Perché se vi aspettate di trovare un gioco che dia la rivincita anche ad una parte che vi è “simpatica” ma che ha perso, sperando di trovare giochi che rinuncino alla plausibilità storica per ottenere il bilanciamento a tutti i costi o peggio ancora per motivi per così dire “estranei” al mondo del gioco dimenticando che se nella storia una parte ha perso generalmente era molto difficile che potesse vincere, allora credetemi… il wargame davvero non fa per voi.
E, infine, ti aggiungo anche un’ultima opzione: il perché boh? Perché non ti posso dire tutti i motivi per cui vale la pena di giocare al wargame… perché quando stasera, dopo aver risposto alle domande di questa bella intervista, aprirò la scatola del nuovo titolo che mi è appena arrivato, sono sicuro che pur dopo tanti anni ne scoprirò ancora di nuovi!

Un “grazie” infinito a Riccardo per il tempo ed il materiale che ci ha fornito.

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