Labyrinth: La guerra al terrore che è in noi

“Per un sedicenne è un ricordo d’infanzia. Per noi è e resterà l’11 settembre. Il mondo è cambiato da allora, e non in meglio. Ma le preoccupazioni, ho notato, sono proporzionali all’età. I più giovani pensano che il pianeta ha conosciuto la peste, Hitler e la Tv, se la caverà anche stavolta. Tra i meno giovani, molti ritengono che il prossimo attacco sarà nucleare, e esprimono profezie rispetto alle quali l’Apocalisse sembra un romanzo a fumetti.”

Era l’11 settembre 2001. Uno di quei pochi giorni nell’arco della nostra vita dove tutti sappiamo esattamente cosa stavamo facendo, dove e perché.
Prendendo in prestito le parole di Beppe Severgnini, giornalista e opinionista, fu uno di quei giorni che ha radicalmente cambiato il mondo per come lo conoscevamo. Per certi versi anche alcune certezze, no? L’inattaccabilità di alcuni paesi e la loro mai scoperta vulnerabilità. Ha in qualche modo mostrato al mondo che la violenza e l’orrore, per noi giovani solo vissuta attraverso gli occhi della televisione e solo in paesi da noi mai considerati parte della nostra realtà occidentale, potevano essere qualcosa anche al nostro ordine del giorno.
Quelle immagini mostrarono a noi tutti che in qualche minuto la realtà, lo spazio e il tempo avrebbero potuto mutare. In un attimo “quel tipo di morte” è diventata un affare occidentale.
L’ultima guerra mondiale per molti è sempre stata solo una lezione di storia, un’infinita sequela di date da ripetere durante un’interrogazione o magari in una partita di Trivial Pursuit. Da quel giorno la nostra esistenza avrebbe fatto parte di quei libri e in qualche modo, col senno di oggi, sarebbe stata solo una delle tante nuove date che le nostre future generazione avrebbe studiato (?).

Volko Ruhnke nel 2010 decide di ricreare i giorni successivi a quell’attentato in uno dei suoi wargame. Non uno qualsiasi ma Labyrinth: The War on Terror 2001 – ?

Quel punto interrogativo 10 anni fa sembrava davvero una mannaia. L’impressione dopo tutto quel tempo dall’inizio delle operazioni in Afghanistan era proprio quella di una guerra infinita. In queste righe che verranno mi andava non solo di parlare del gioco, di cui comunque farò una panoramica, ma mi piaceva sia riflettere su come quegli anni di terrore tutto occidentale (almeno nella nostra egoistica percezione) siano stati rappresentati attraverso le meccaniche dello stesso.

L’era dei COIN

Per molti questo titolo rappresenta il padre spirituale di tutti i giochi della serie COIN (counter insurgency) che verranno. Non a caso l’autore sarà lo stesso almeno nei primi 4 episodi. Questi giochi, che di base pongono una di fronte all’altra fazioni con differenti mezzi economici e militari, vedranno la loro fortuna massima con il titolo Fire in the lake, ambientato nella guerra del Vietnam.
Labyrinth è precursore grazie soprattutto alla sua asimmetria che porta, nel mondo del card driven, quella ventata di originalità che probabilmente non si vedeva da Twilight Struggle. Proprio da questo gioco Ruhnke prende in prestito il sistema di carte.
Due fazioni con eventi associate ad ognuna di loro e una terza casistica di eventi non associati a nessuno in particolare ma solo a chi la giocherà. Ci sono però tante novità all’interno della scatola. Innanzitutto sparirà il tracciato segnapunti a bilancia, ognuno percorrerà i propri obiettivi cercando di raggiungere il proprio entro la fine del gioco. La fine stessa, dunque la durata del gameplay, è scelta dai giocatori che decideranno quanti rimescolamenti di mazzo vorranno fare. I due giocatori dovranno raggiungere un tot. di punti grazie ad una guerra ideologica che avrà come obiettivo la “simpatia” dei governi locali: Governo Forte Alleato e Dominio islamico Ostile. Quando si riuscirà a portare dalla propria parte un governo di un paese musulmano si andranno a segnare le cosiddette Risorse Forti e Risorse Islamiche, principali indicatori di vittoria. Nella realtà questo rappresenta la facilità di movimento in questi paesi che, caldeggiando rispettivamente l’una o l’altra fazione, in qualche modo intaccano sensibilmente la capacità di gioco. Nei COIN questo si tramuta in qualche modo nel consenso civile (PoP) che sarà una discriminante di vittoria per determinate fazioni. Si affacciano poi i cubetti e i cilindri che tanto ameranno (ameremo) tutti i giocatori della futura serie, che abbiamo già più volte nominato, ma soprattutto le guerriglie e il loro concetto intrinseco di attivazione e… invisibilità.

Active/Inactive

Questo semplice concetto ovvero, attivo o inattivo, sarà quella molla che porterà il gioco ad un livello superiore. In sintesi: i jihadisti dovranno muoversi sulla mappa e cercare di portare i governi dei paesi musulmani (sunniti e sciiti) ad uno stato di dominio islamico. Per farlo dovranno occultarsi attraverso reclutamenti e viaggi per poi colpire con attacchi di jihad minori o maggiori o attentati terroristici. Compito degli Stati Uniti sarà quello di scovarle e distruggerle prima che questo avvenga.
In qualche modo questo “effetto sorpresa” è ciò che più abbiamo temuto negli anni. Ci si rese conto che per quanto ci si potesse organizzare, per quanta tecnologia si potesse possedere questa continua tensione creata dall’impossibilità di prevedere tutto e tutti era il vero e proprio concime del nostro terrore. Il nostro concetto di “tranquillità” era stato stravolto per sempre perché il pericolo poteva essere ovunque. Non era più distante chilometri, non era più il paese sperduto tra le montagne o la nazione che avevamo sentito solo in qualche notiziario, no. Erano tra noi, probabilmente da anni.
Questo mi ha fatto riflettere anche sulla concezione di “pericolo” che abbiamo. Abbiamo criminalità, omicidi e morte da sempre in ogni nostra città. Eppure in quegli anni sembrava come se l’avessimo scoperta tutta insieme. Come se prima dell’11 settembre il mondo fosse un posto sicuro. Probabilmente ci siamo resi conto di far parte del mondo ma non della menzogna che ci raccontavamo: sicuri non lo siamo mai stati. Tornando a Labyrinth, i piccoli cilindri neri, che rappresentano per l’appunto i jihadisti, saranno capovolti sottosopra a seconda dell’operazione intrapresa e questo semplice gesto li renderà visibili o meno. Il male, si sa, agisce nell’ombra…

Lo sviluppo su due piani

“Sono certo di parlare a nome della mia nazione intera, quando dico: l’11 settembre siamo tutti americani, nel dolore come nella sfida”
Benjamin Netanyahu

Non sarà semplicemente un discorso militare. In Labyrinth ciò che salta all’occhio è l’enorme sforzo di Ruhnke nel ricreare lo stato di tensione e indecisione politica che si è respirato in tutti questi anni. Ogni stato non musulmano infatti, dalla Cina ai paesi Schengen passando per India e stati membri dell’Africa avrà una sorta di “atteggiamento” nei confronti del terrorismo. Potrà essere rigido (Israele lo sarà sempre…)o moderato e questo influenzerà direttamente le decisioni del giocatore americano oltre che il suo stesso atteggiamento. Il gioco pone dunque il conflitto su un piano meramente politico. I rapporti tra i vari paesi interessati alla lotta al terrorismo sono veicolo di decisioni. Così come nella realtà questo atteggiamento andrà a toccare il prestigio degli Stati Uniti e dunque anche il supporto da parte dei vari paesi a questa “crociata”.
Tutto sembra essere un puzzle perfetto. Millimetrica la precisione di Volko nel rappresentare a livello emotivo il balzello dello stato di guerra e l’impegno militare in esso. Proprio come in Twilight Struggle le carte la fanno da padrona ma qui siamo di fronte a un titolo dove i dadi e dunque l’alea ha una maggiore influenza. L’uso di questi è asimmetrico tanto quanto il gioco. Di uso raro per gli stati uniti e assolutamente funzionale e decisionale per i jihadisti. Conteranno i governi di ogni paese con i loro stati: Da Forte 1, passando per Neutro 2 per arrivare a Debole 3. Questi valori, abbinati agli allineamenti verso cui proveremo a far pendere gli stati, indicheranno cose differenti per ognuno.
Gli States potranno giocare carte di valore pari o superiore al governo del paese interessato mentre i jihadisti lanceranno dadi che dovranno avere valore pari o inferiore al valore dei governi interessati per vedere riuscite le proprie operazioni.

“E nessuno spegnerà questa luce. Oggi la nostra nazione ha visto il male, il peggio della natura umana, e noi rispondiamo con il meglio dell’America”
George W. Bush

Il terrore che è tutto nostro

Poco importa se oggi quella guerra è finita (?) e se nel maggio del 2021 le truppe statunitensi, assieme alla coalizione NATO, hanno iniziato la ritirata delle proprie truppe. Poco importa se la nuova ascesa talebana ha portato con sé dubbi legittimi o certezze del senno di poi. Ci si chiede se questi vent’anni dal lancio dell’operazione Enduring Freedom siano serviti a qualcosa o, come probabilmente la maggior parte dei conflitti, siano serviti a qualcuno in particolare. Nel nostro piccolo, che amiamo “giocare” su di questi avvenimenti storici, possiamo dire che grazie alla GMT e a quello splendido autore che è Volko Ruhke, abbiamo sul tavolo qualcosa che sembra appartenerci molto di più. Come generazione e come coscienza della stessa. Un ricordo che in qualche modo abbiamo fatto nostro e che, come tutti gli eventi storici macchiati di sangue innocente, non dovremmo mai dimenticare. Uno scorcio di un conflitto che a livello emotivo e mediatico abbiamo vissuto nella nostra quotidianità visto che ha poi portato a tutta l’escalation di terrore in Europa. Un singolo ed epocale evento che ha cambiato il nostro inconscio e che ci ha fatto stare sull’attenti per molto tempo. Nei nostri viaggi, nei nostri spostamenti, nell’osservare il volto di qualcuno o magari una valigia lasciata in un posto in cui non doveva stare. Un evento che ha minato la nostra voglia di divertirci, di sentirci liberi, che ha condannato popoli innocenti ad uno stigma ignobile che ha dipinto sui loro volti e il loro credo l’effigie della nostra paura. Chissà se poi è veramente una paura così reale e quanto, in ciò che proviamo, è frutto di una innata propensione al starcene al sicuro. Ma poi questo sicuro che tanto ricerchiamo lo è davvero?
L’instabilità di Labyrinth e lo stato di allerta che il gioco vuole ricreare probabilmente rappresenta solo in parte questi vent’anni. Però lo fa in maniera egregia e noi possiamo dire che, in qualche modo, ne siamo stati testimoni.

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