Intervista a Bruno Faidutti – Un umanista nel mondo ludico

Spesso i creatori di giochi vengono dal mondo dell’ingegneria, della matematica o della programmazione. E poi c’è Bruno Faidutti, il padre di Citadels, che ha una formazione storico-sociologica. Oltre a essere un game designer famoso, Faidutti tiene da anni un blog nel quale ha pubblicato articoli famosi nel mondo ludico, come il suo celebre Décoloniser Catan – “Decolonizzare Catan” (Link Articolo). L’articolo è del 2017 ma il tema è attuale: pensiamo alle recenti polemiche su  Puerto Rico, le cui meccaniche simulano la storia dell’imperialismo europeo e che oggi sono percepite come politicamente scorrette.



Bruno Faidutti, crede che i giocatori in questo periodo storico abbiano la tendenza a prendere le cose troppo sul serio?
Certamente lo fanno gli editori e i game designer, se non i giocatori. Quello che spiego nell’articolo è ancora valido: quando in un gioco c’è un problema di questo tipo le reazioni tendono a essere “blocchiamo subito tutto” piuttosto che inquadrare il gameplay nel suo contesto storico. Censurare un tema non serve a niente se si continua a pensare come un colonialista (o come un misogino); è un’azione sulle conseguenze anziché sulle cause. Sarebbe più costruttivo giocare a Puerto Rico in maniera critica. La censura tende a essere semplicista.
Allo stesso modo, inserire più donne nella grafica e tra i personaggi dei giochi di società è un’ottima cosa, non sono certo contrario, ma concentrarci sulle conseguenze ignorando le cause non serve a niente. Anzi, rischia di essere una trappola: ci sentiamo in pace con la coscienza per avere agito, ma poi nella nostra mentalità e nell’immaginario collettivo non è cambiato nulla. Non è così che si trasforma la società, un gioco non può avere la stessa carica di una riforma politica.
C’è chi si vanta di usare una scrittura inclusiva, comportandosi poi come la peggiore caricatura del macho. Il problema è insito nei comportamenti della gente, nella vita quotidiana. Ragionare su come sia invecchiato un gioco che ricostruisce la storia del colonialismo può essere d’aiuto per inquadrare le cause di un atteggiamento sbagliato nei confronti della storia.
Aggiungo un paio di esempi presi dai miei giochi: in The Arthemis Odyssey si esplora uno spazio in cui non c’è nessuno anziché una terra già popolata, in Missione: pianeta rosso che ho disegnato con Bruno Cathala, ambientato ovviamente su Marte, c’è la carta resistenza indigena. Trovo interessante creare una gag di questo tipo piuttosto che evitare il soggetto, o peggio, censurare un tema.



In un suo articolo esprime una definizione interessante del gioco: “ansiolitico per culture occidentali meno sicure di loro stesse rispetto a qualche decennio fa”.
Giocare può essere una strategia per passare del tempo con gli altri senza interagire per davvero, senza litigare per la politica. Ci sono amici con i quali si gioca ma dei quali non si conoscono le opinioni – e magari è meglio così! Si trascorre del tempo insieme restando in un territorio sicuro.

Continuo a citarla: “Il profilo del giocatore, nel quale io stesso rientro a pieno titolo, è quello di un maschio bianco di mezza età, che risente meno di altri della congiuntura economica mondiale”. Pensa che sia ancora così o ha l’impressione che il giocatore – tipo sia cambiato?
Effettivamente sì, rispetto a una decina d’anni fa il mondo ludico è caratterizzato da una presenza più consistente di donne, di famiglie. Se questo è vero tra i giocatori, lo è un po’ meno per quanto riguarda i creatori di giochi e gli editori: esistono donne game designer ed editrici, ma in numero decisamente minore rispetto agli uomini.
Ci sono delle belle eccezioni come Elizabeth Hargrave, l’autrice di Wingspan, oppure nel mondo dei giochi da tavolo per bambini. Se la presenza delle donne nel pubblico dei giochi da tavolo sta aumentando solo ora, è fisiologico che ci voglia ancora qualche tempo perché la loro presenza si affermi anche tra gli ideatori di giochi.

Parlando di immaginari collettivi ed evoluzione delle tematiche nei giochi di società, quali sono i temi di moda in questo periodo?
Certamente i temi legati alla natura. Da una parte perché tutti sanno cosa sia un uccello, un fungo, un albero; dall’altra perché l’argomento è rassicurante e non si presta a controversie. La natura è transgenerazionale, non si presta a pericoli sociali. Anche i temi legati alla cucina offrono degli spunti interessanti.
In ogni caso, io preferisco creare giochi senza pretese didattiche: sono stato insegnante di sociologia ed economia in un liceo fino alla settimana scorsa e so che, se voglio usare un gioco per spiegare un argomento ai miei studenti, è un mezzo davvero poco efficiente. Giocando occorre concentrarsi sulla migliore strategia per vincere; se oltre a questo bisogna fare attenzione a un argomento di studio, si rischia di perdere di vista entrambi gli obiettivi.
Il tema di un gioco dev’essere semplificato fino all’osso. Nel corso dei miei decenni d’insegnamento ho imparato che i miei corsi più riusciti non erano quelli che tenevo sugli argomenti dei quali ero esperto, per esempio gli unicorni (ndr: Bruno Faidutti è un esperto a livello mondiale sul tema degli unicorni, l’anno scorso è uscito un suo saggio su quest’argomento), ma quelli sui quali avevo solo quindici giorni d’anticipo sui miei studenti. Quando uno conosce troppe cose su un soggetto desidera approfondire ogni particolare: finisce per annoiare il pubblico.



Veniamo ai suoi giochi: nel 2024 uscirà per l’editore americano Trick or treat un gioco chiamato Il tesoro dei nani, che lei indica come la sua creazione preferita.
Beh, un game designer la vede un po’ come uno scrittore: il nostro gioco preferito è quello che deve ancora uscire! È vero che ho delle aspettative alte nei confronti di quest’ultimo.
Come molti dei miei giochi, la meccanica principale è quella delle aste. Il sistema però è molto particolare perché fa sì che si sia molta tensione per tutta la durata della partita: osserviamo le offerte degli avversari ma una volta che ne abbiamo rifiutata una non possiamo tornare indietro.

Il gioco ha una dimensione strategica e una psicologica, come Citadels: se a lungo termine è la strategia scelta a ripagare, a breve termine occorre puntare sul bluff. E soprattutto non bisogna innervosirsi, perché in questo caso la vendetta non è una strategia vincente!
Il tema dei nani non è certo originale ma si prestava bene al gioco. La cosa interessante è che ho provato ad affrontarlo in maniera scientifica, approfondendo la loro funzione nella mitologia e nella cultura universale. Ho cercato di usare degli oggetti che fossero davvero citati nei testi alla base dell’immaginario sui nani; nella mitologia nordica c’era una barca ripiegabile che trovavo molto suggestiva. Alla fine però non ho usato niente di tutto questo: non c’era posto per questo vascello, nel gioco. Gli oggetti che funzionavano meglio erano quelli concepiti ex novo. Nella mia esperienza di game designing, trattare seriamente il tema di un gioco è un approccio che non funziona.

 

Non possiamo non parlare di Citadels…
Sono sempre impressionato dal successo di Citadels; le vendite a vent’anni dalla sua uscita sono sempre alte. I diritti d’autore che ricevo da questo gioco sono pari a quelli di tutti gli altri miei giochi messi insieme.
A proposito di esotismo e di stereotipi culturali, posso raccontare un aneddoto.

La versione iraniana di Citadels non ha potuto essere pubblicata con le immagini originali, perché i proprietari di queste grafiche sono americani e gli iraniani  non possono lavorare con loro per via delle sanzioni. Così l’editore ha fatto ridisegnare la grafica del gioco da un autore nazionale, Hassan Nozadian. Beh, ecco, il risultato è stupendo ma se in Europa avessimo fatto disegni di questo tipo l’autore sarebbe accusato di aver realizzato una caricatura, che risente di tutti gli stereotipi di cui Edward Sa’id parla in Orientalismo. I nostri cliché in questo caso sono stati riciclati e interiorizzati, forse con un velo di ironia.



Ha ancora senso, secondo lei, la differenziazione tra giochi German (Eurogame) e American?
Meno di un tempo, la utilizzo ancora per classificare i giochi ma ci sono molte contaminazioni. Questo è un aspetto interessante della cultura legata ai giochi di società moderni: non abbiamo referenze culturali locali vecchie di centinaia d’anni come per quanto riguarda musica e letteratura. Un cinese magari non conosce per filo e per segno la letteratura europea, invece nell’ambito dei giochi di società persone provenienti da continenti diversi hanno le stesse referenze.

Penso ai giochi giapponesi, che conosco bene. Apparentemente sono diversi da quelli prodotti in Europa; le scatole sono più piccole, visto che le case giapponesi sono mediamente meno spaziose di quelle europee. La grafica è inconfondibile, certo risente della storia dell’animazione giapponese che è lunga ed elaborata. Dentro la scatola però le meccaniche del gioco sono uguali a quelle degli eurogame.
A proposito, i giapponesi sono davvero bravi a prendersi in giro riprendendo i cliché occidentali su di loro, mostrano molta autoironia.

Qual è il gioco cui Bruno Faidutti ama di più giocare? Ancora poker, come indicato nelle vecchie interviste?
No, in questo periodo il mio gioco preferito è un gioco americano non troppo conosciuto, si chiama Coursed Court (mi mostra la scatola, prendendola dalla magnifica ludoteca a scaffali scorrevoli del suo appartamento parigino).

Foto da BGG

Per concludere: un game designer che ha più di cento giochi all’attivo si trova spesso a intavolare i giochi che ha creato?
Di solito gioco moltissimo ai miei giochi in fase di realizzazione, di game test. In seguito mi trovo a giocarci ancora parecchio subito dopo l’uscita, quando li presento e li promuovo. E poi… Passo ad altro, ci sono giochi che ho creato vent’anni fa dei quali non ricordo più le regole! Io creo giochi perché sono troppo pigro per scrivere libri, che richiedono un lavoro immane: ma l’analogia con il lavoro di uno scrittore funziona anche qui, nonostante la creazione di giochi sia un processo più simile alla cucina e al bricolage che alla scrittura.  Difficilmente uno scrittore rilegge spesso i propri libri: allo stesso modo, preferisco dedicarmi ai nuovi progetti.

Bruno Faidutti è appena andato in pensione dal lavoro di insegnante e sarà più facile incontrarlo alle fiere, intento a presentare le sue creazioni. Gli auguriamo una retraite ricca di aste e di bluff, che sono il suo marchio di fabbrica.


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