Fuori dal tunnel dell’hype #1. Piccole città di legno.

La passione ludica ti ha portato fin qui: mi fa piacere.

Ma sai di preciso cosa troverai in questa rubrica? Te lo devo dire, animato da sincera compassione: solo sofferenza. Qui dimorano le meravigliose piccole sculture dei giochi di oggi, né potrai rinvenire grandi quantità di plastica, di colori, di gioia pagabile con fior di valuta pregiata su mirabili botteghe digitali, pronte a spedirti a casa l’indomani di buonora tutto ciò che desideri. Al contrario: lontano dall’appagarti con la droga dell’hype, qui troverai titoli vecchi, spesso ignoti o ignorati, oppure andati presto esauriti e dimenticati dalle volubili divinità del commercio. Il malvagio Hermes qui non è gradito.
Ma se sei qui con buone intenzioni e il tuo cuore verrà giudicato leggero dagli antichi mostri di legno e cartone, imparerai a cercare, a scavare, a curiosare nei mercatini, nel profondo abisso del baratto, fino a sporcarti di polvere fin dentro le orecchie, per rinvenire ciò che più in vero dovrebbe essere rinvenuto.

Ma perché tutto ciò? Di questo avremo modo di parlare, se vorrai. Ma non è questo il giorno. Per ora varca la soglia, preparati a spogliarti della bramosia per i nuovi titoli, anestetizza lo stolto primate che ti grava sulla schiena e segui le mie bieche, melliflue parole, che ti condurranno verso la perdizione.

Io sono il Giocatore Fuori Moda, e in questa prima puntata ti presenterò cinque giochi astratti, lignei, che ti permettono di realizzare (più o meno) una piccola gradevole città. Colpo d’occhio splendido a partita finita e meccaniche argute, totale assenza di alea, informazione completa, reperibilità non sempre garantita: ecco cosa accomuna i cinque titoli che vado a mostrarti.

Nota: la numerazione dei singoli giochi segue quella della mia pagina instagram, @giocatorefuorimoda, dove puoi trovare più scarne e veloci presentazioni singole.


#6 – Kastell/Castello

Gradevole astratto di Niek Neuwahl, pubblicato nel 2006 da Loquai Holzkunst. Leggero, adatto a chiunque. Il gioco è presto spiegato: ognuno dei due giocatori ha 7 pezzi che occupano esattamente quattro caselle, dalla pregevole forma a edifici cittadini. Ci sono poi tre pezzi neutri (gli alberi) che vengono posizionati all’inizio. L’obiettivo è fare in modo, a un certo punto della partita, che l’avversario non possa giocare più alcun pezzo negli spazi rimanenti. Particolarità di questo gioco è quella di presentare nel regolamento sei varianti a difficoltà crescenti: crescendo in esperienza arriverai ad apprezzare particolarmente soprattutto le varianti dalla 4 alla 6, nelle quali ogni giocatore sceglie il pezzo che dovrà giocare l’avversario (à la Quarto!), e che differiscono l’una dall’altra solo per differenti limitazioni circa il piazzamento dei pezzi.

Ti consiglio Kastell/Castello soprattutto se ami gli astratti leggeri ma non stupidi, oppure come introduttivo per giochi simili ma più impegnativi, o semplicemente se ti piacciono le cose belle.


#8 – Urbino

Rinunciare a comprare un gioco astratto che porta il nome di una città, soprattutto se italiana, è per me molto difficile. Se poi il gioco è bello come questo, è impossibile. E in fondo sento già che anche tu ne sei affascinato, non è vero?

Con Urbino (che oltre ad essere uno splendido gioca astratto è anche una delle mie città preferite) ti presento un gioco di Dieter Stein del 2011, pubblicato da Clemens Gerhards e portato in Italia dal mitico Bertocchi, autentico segugio di astratti, con XVgames / Studio Supernova. Su un bel piando di gioco in solido legno di 9×9 caselle, i giocatori si sfidano costruendo i quartieri di Urbino piazzando tre tipi di pezzi (i quali occupano tutti una sola casella, ma hanno tre livelli di altezza differenti e proporzionali all’altezza danno tre punteggi differenti). A fine partita conteranno solo i quartieri che hanno caseggiati di entrambi i colori, e frutteranno un numero di punti pari alla somma delle altezze e dei pezzi, solo al giocatore che avrà il punteggio più alto all’interno del quartiere. Grande originalità sta nella determinazione delle caselle valide per piazzare un pezzo, data dagli incroci delle linee di vista di due architetti (due pedine rosse) in gioco dai primi turni e dei quali è possibile spostarne solo uno prima di ogni mossa.

Se poi, dopo aver giocato, ti verrà voglia di fare un giro a Urbino, vedrai che mi ringrazierai due volte.


#16 – Cathedral

Questa meraviglia che i tuoi occhi increduli stanno rimirando nel collage è Cathedral, gioco di Robert Moore pubblicato nientemeno che nel 1978. Esatto, probabilmente è più vecchio di te. Non di me, ma per poco. 
Nel corso dei suoi (ad oggi) 43 anni di vita, è stato pubblicato e ripubblicato molte volte (una fortuna che difficilmente vedrai capitare a molti giochi in questa rubrica) con molti nomi diversi e con diversi editori, per esempio so che puoi trovarlo importato e ripubblicato da Gigamic, sia nella versione standard che è una gioia per gli occhi che in quella pocket, magnetica, che è una gioia più piccina per gli occhi ma un sollievo non indifferente per il deposito pecuniario. Quello che non è mai cambiato è il colpo d’occhio meraviglioso.

Si tratta di un gioco piuttosto semplice, tuttavia interessante. Il primo giocatore piazza la Cattedrale, il pezzo grigio neutrale che dà il nome al gioco. Poi a turno i giocatori posizionano uno dei loro edifici, cercando di recintare (con i pezzi, oppure tra i pezzi e il bordo del gioco, che pare le mura di una città medievale) aree nelle quali sia contenuto al massimo un unico pezzo avversario o neutrale, che in questo modo verrà ridato al proprietario: questi, inoltre, non potrà più piazzare pezzi nell’area recintata, che sarà utilizzabile solo da chi l’ha chiusa. Il gioco termina quando entrambi i giocatori non possono più posizionare pezzi, vince chi, sommando il numero di caselle che occuperebbero gli edifici avanzati, ne ha meno.

Le meccaniche sono semplici, ma il gioco può essere utile per capire, in piccolo e in facile, l’idea che sta alla base di giochi a “enclosure” più vasti e complessi, come – ovviamente – sua maestà il Go. Ma poi, soprattutto, hai visto quanto è bello? Ma davvero sai resistere alla bramosia di avere in casa una meraviglia del genere? Ma smettila di fingere…


#18 – Medina

Siamo al quarto gioco di questa prima serie, e alla quarta città da costruire. Cambiamo lato del mediterraneo: invece di una città medievale europea, qui ti sfiderò a costruire una splendida città arabeggiante, con le sue bianche mura, gli edifici colorati, le cupole a cipolla, i pellegrini che affollano le strade. Ovviamente parlo di Medina, di Stefan Dorra. Benché ripubblicato in una nuova edizione nel 2014, qui ti mostro quello del 2001, perché voglio farti uscire ogni possibile traccia di hype dai polmoni e farti respirare a pieni polmoni i primi anni duemila. 

In Medina non dovrai solo edificare la città, componendone pezzo dopo pezzo i palazzi, ma soprattutto scegliere il momento giusto per “rivendicarli”, mettendoci la cupola a cipolla del tuo colore: ma attenzione, da quel momento in poi non li potrai più espandere, ma solo migliorarne il valore con scuderie e pellegrini, e cercare di raccogliere bonus puntando ad avere il palazzo più grande (per ciascun colore) ed essere l’ultimo a collegarsi tramite le mura alle torri della città. Ma il vero fulcro del gioco, quello che lo rende uno dei più bastardi in circolazione e che ti farà perdere l’amicizia di quei sempliciotti che oseranno sfidarti, è lo schema pallavolistico: alzata e schiacciata. Un giocatore chiude un palazzo e circonda una piccola area, il successivo piazza un nuovo palazzo in quello spazio minuscolo. Se l’operazione è fatta con giudizio, il terzo (o il quarto) giocatore sarà costretto ad accontentarsi di avere uno dei suoi quattro palazzi minuscolo e irrilevante.

Tattica e soprattutto insulti sono le componenti più marcate di questo gioco che dà per forza di cose il meglio di sé in quattro giocatori. Senza dimenticare l’estetica, ovviamente: di nuovo il colpo d’occhio finale è impareggiabile, e la gente ai tavoli lì vicino si alzerà per curiosare la tua partita.


#20 – Volterra

Lo so, lo so cosa stai pensando. No, a parte quella cosa terribile che non si può scrivere senza incorrere in censura. L’altra cosa: stai pensando che ho barato, perché non è che Volterra dia proprio l’impressione di aver costruito una città, a fine partita. Ma se ti impegni, con un po’ di fantasia, ce la puoi vedere. Non ti sembrano le torri tipiche delle cittadine medievali toscane? No? Eh, pace. Tanto qui decido io.

Volterra è, a differenza degli altri di cui ti ho parlato finora, un gioco nuovo, e pure economico. Pubblicato nel 2020 da Steffen Spiele e opera di Julien Griffon – portato in Italia dal solito Marcello Bertocchi di XVgames / Studio Supernova – è un gioco veloce e bello, nuovo, è vero, ma lontanissimo dalle luci della ribalta dell’hype che ti abbagliano facendoti sanguinare gli occhi e perdere le piccole gemme. Partendo da una piccola scacchiera di 5×4 caselle, i giocatori ogni turno possono muovere il loro unico pedone e spostare una delle tessere che compongono il piano di gioco, ammonticchiandola su altre, formando così delle torri. Il giocatore che a fine partita (ovvero quando a un giocatore sarà impossibile completare entrambe le mosse) controllerà la torre più alta, avrà vinto.

Tutto qui. Eppure bello.

Chiudiamo qui, per oggi hai visto abbastanza. L’incertezza ti sta velando gli occhi: ti senti già più felice, senza dover inseguire per forza l’ultimo gioco appena uscito, che hanno tutti ed è così facile da trovare. Ma non vuoi ancora abbandonare l’hype e per volgerti con altero snobismo e sdegnante superiorità a soffiare via polvere da una ignota scatola tedesca di fine anni ’90. Ma lo farai. Oh sì, lo farai.

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